La Sanità lombarda in una ricerca della Cisl Lombardia

La Sanità lombarda in una ricerca della Cisl Lombardia

Non ci si poteva certo aspettare un quadro idilliaco, ma il panorama che esce dall’ultima ricerca condotta in campo sanitario da CISL Lombardia è spesso desolante. Tempi di attesa infiniti, sia per visite che per esami, cure abbandonate spesso per motivi economici, accoglienza nei Pronto Soccorso dalla lunghezza esasperante. La serie di interviste “Servizio Sanitario in Lombardia. Cosa ne pensano gli iscritti alla CISL” è stato presentato questa mattina a Milano. Si tratta di un sondaggio condotto su 11.520 iscritti che ha fornito un’analisi dettagliata delle problematiche legate all’accesso alle cure sanitarie in Lombardia. I dati raccolti evidenziano appunto “rinunce alle cure a causa di tempi di attesa troppo lunghi, difficolta nell’accesso a visite specialistiche, esami diagnostici e ricoveri e carenze nell’assistenza domiciliare integrata”.

Otto intervistati su dieci hanno effettuato nell’ultimo anno almeno una visita specialistica. Sei visite ambulatoriali su dieci sono state erogate in strutture private. Oltre la metà degli intervistati ha usufruito di viste specialistiche a pagamento. Fra quanti hanno fatto prestazioni ambulatoriali a pagamento otto su dieci si sono avvalsi di strutture private (solo private o private convenzionate), la restante parte ha usufruito di prestazioni in libera professione (a pagamento) nelle strutture pubbliche. Analogamente, tra chi ha effettuato almeno un esame nel 2023, uno su tre si e rivolto a strutture private convenzionate con il Servizio Sanitario e quasi uno su quattro ha svolto esami in strutture private. Complessivamente, fra quanti hanno fatto  prestazioni di diagnostica strumentale a pagamento più di otto su dieci sono ricorsi a strutture private.

Sette ricoveri su dieci sono stati fruiti in strutture pubbliche. I ricoveri in struttura privata convenzionata in regime di SSN sono stati il 24,7%, il 4,5% sono stati ricoveri a pagamento in struttura privata.

Il tempo massimo d’attesa previsto dal codice di priorità indicato nell’impegnativa dal medico non è stato rispettato in quasi la metà delle visite di specialistica ambulatoriale con priorità U (urgente); per le altre priorità B (breve) e D (differibile) il mancato rispetto del tempo d’attesa è stato superiore nel 40% dei casi. I tempi massimi d’attesa nel 44,5% degli esami indicati come urgenti non sono stati rispettati. Per gli esami con priorità di 10 giorni e per quelli con priorità di 60 giorni, l’erogazione è stata successiva, rispettivamente, nel 40,3% e nel 18,0% dei casi.

Nei ricoveri programmati il 74,5% ha rispettato le classi di priorità, uno su quattro no. Il tempo d’attesa in Pronto soccorso tra la presa in carico del paziente e il ricovero in reparto e stato in media di otto ore, con picchi fino a 48 ore.

Oltre sei intervistati su dieci hanno rinunciato (“qualche volta” o “spesso”) nel corso dell’ultimo anno alle cure. Solo un intervistato su cinque con redditi oltre i 50.000€ ha rinunciato alle cure, a fronte della rinuncia a curarsi di due rispondenti su tre in famiglie con redditi inferiori a 15.000 €. I lunghi tempi d’attesa sono stati il motivo più frequente della rinuncia alle cure (specie tra i rispondenti fino a 55 anni di età): in tutte le fasce di età i tempi d’attesa sono di gran lunga il principale motivo della rinuncia alle cure. Quasi un intervistato su due ha rinunciato alle cure per ragioni economiche e oltre quattro su dieci per ragioni legate alla scomodità fisica o organizzativa delle strutture sanitarie. La motivazione economica incide particolarmente nelle persone fino ai 55 anni, con un leggero incremento per gli over 75. È importante notare come siano prevalentemente le donne a rinunciare alle cure per motivi economici (52%), mentre la rinuncia alle cure negli uomini è il 38,5%. La provincia di Bergamo mostra i valori maggiori del numero di rispondenti che hanno rinunciato qualche volta o spesso alle cure per tutte le tre motivazioni.

Tra i pazienti con malattie croniche, la rinuncia alle cure è numerosa: circa una persona su due ha rinunciato a curarsi per scomodità delle strutture o per ragioni economiche, mentre due persone su tre hanno rinunciato a causa dei tempi di attesa. Ha fatto ricorso a misure di assistenza domiciliare integrata il 7,2% degli intervistati: di questi, nove su dieci hanno attivato l’ADI per un familiare. Solo il 2,1% dei soggetti con 3 o più patologie croniche ha dichiarato di aver attivato l’assistenza domiciliare. L’assistenza domiciliare è stata  prevalentemente attivata attraverso il medico di famiglia in più di sette casi su dieci, nel resto dei casi si è trattato di una dimissione protetta all’esito di un ricovero. I giudizi degli intervistati che hanno usufruito di un percorso di cure domiciliari, pur essendo nell’insieme piuttosto positivi, sono critici riguardo ai tempi di attesa.

La spesa media nel 2022 per visite, esami e ricoveri è stata pari a 951 €, mentre quella riguardante le altre spese sanitarie (farmaceutiche, odontoiatriche, fisioterapiche, ecc.) e stata di 1.184€. La distribuzione su base provinciale delle spese sanitarie sostenute per visite, esami, assistenza sanitaria e farmaceutica non evidenzia differenze importanti. La rinuncia alle cure è un evento diffuso, in particolare nelle fasce sociali economicamente più svantaggiate. Oltre sei intervistati su dieci hanno rinunciato nell’ultimo anno (2022) a causa dei lunghi tempi di attesa. Quasi un intervistato su due ha rinunciato per ragioni economiche e più di quattro su dieci per ragioni legate alla scomodità fisica o organizzativa delle strutture sanitarie.

Il valore del reddito familiare è inversamente correlato alla rinuncia alle cure. Solo un intervistato su cinque con redditi oltre i 50.000€ rinuncia alle cure, a fronte di due su tre nelle famiglie con redditi inferiori ai 15.000 €. Quasi quattro prestazioni su dieci sono state erogate a pagamento in strutture private; circa due su dieci sono state erogate in strutture private convenzionate con il Servizio regionale.  Quattro su dieci prestazioni ambulatoriali sono state erogate in strutture pubbliche. Oltre la metà degli intervistati (55,8%) ha usufruito della prestazione a pagamento per l’erogazione di visite specialistiche. La principale motivazione che ha spinto li intervistati a prediligere prestazioni a pagamento è stata la tempistica minore del servizio (73,1%). La possibilità di scegliere il medico rileva solo per 15,3% degli intervistati, mentre le altre motivazioni sono state selezionate in misura minore Nel 2023, più di quattro esami su dieci sono stati erogati in strutture pubbliche; uno su tre esami è stato erogato da strutture private convenzionate con il Servizio regionale con pagamento del solo ticket e quasi uno su quattro è stato erogato da strutture private a pagamento.

Il tempo massimo d’attesa per il 44,5% degli esami indicati con priorità urgente non e stato rispettato. Per gli esami con impegnativa di 10 giorni e di 60 giorni la quota di mancato rispetto della priorità scende, rispettivamente, al 40,3% e al 18,03%.  Poco più di quattro esami su dieci sono stati effettuati a pagamento. Il motivo principale della scelta di effettuare esami a pagamento (78% dei casi) è stato il breve tempo di attesa fornito da questa modalità di erogazione delle prestazioni. Per quanto riguarda i ricoveri, essi vengono svolti fuori provincia soprattutto a Sondrio (50,0%), Monza e Brianza (44,4%) e Pavia (40,0%), mentre fuori regione sono usufruiti dagli intervistati prevalentemente nella provincia di Mantova (50%), seguita con distacco da Lodi (22,2%) e Brescia (11,1%). Emergono in termini positivi le province di Bergamo (89,5%), Milano (84,4%) e Lecco (80,0%) per ricoveri effettuati nella stessa provincia di residenza, ma a Bergamo si ottiene il voto peggiore per i tempi di attesa.

Le ore di attesa in pronto soccorso prima di essere visitati si sono attestate in media su circa 3 ore e 30 minuti, con un picco di 12 ore, mentre quelle di attesa tra la visita e il trasferimento in reparto sono state in media di oltre 8 ore e 30 minuti. Per quanto riguarda le ore di attesa in PS prima di essere visitati, il picco è stato di 12 ore. Le ore di attesa tra visita in PS e ricovero in reparto hanno toccato anche le 48 ore. I giudizi sul servizio offerto sono discreti, ma calano sensibilmente in ottica di tempi di attesa a Bergamo la media di attesa per la visita nei Pronto Soccorso è di 3,9 ore; il picco di attesa registrato di 12; la media di attesa tra visita in PS e ricovero è di oltre 7 ore, con un picco registrato di 26.

Ha fatto ricorso a misure di assistenza domiciliare integrata il 7,2% degli intervistati: di questi, il 90,6% sono persone che hanno attivato l’ADI per un familiare, mentre il 9,4% sono soggetti direttamente interessati dalla misura. Tra questi ultimi, l’eta media e di 58 anni. L’ADI è stata prevalentemente attivata attraverso il medico di famiglia (74,5% dei casi), nel 25,5% dei casi all’esito della dimissione ospedaliera.

CISL Lombardia, con i dati della propria ricerca, intende avviare un confronto serrato con Regione e Governo per trovare soluzioni a una crisi del “sistema sanità”

Lo sviluppo di una sanita di prossimità, integrata con i servizi sociosanitari e sociali, insieme al mantenimento di alti livelli di qualità della rete specialistico-ospedaliera e della ricercaha detto Roberta Vaia, segretaria CISL Lombardia -, sono concordemente considerati la via maestra per avere un servizio sanitario capace di rispondere a future emergenze sanitarie e a crescenti bisogni di salute di una popolazione il cui profilo epidemiologico-demografico e in chiara evoluzione e trasformazione verso condizioni di maggiore e più diffusa fragilità e complessità clinica”.

La trattativa con Giunta e Governo, nelle intenzioni CISL, dovrà tener conto della carenza di personale nel servizio sanitario regionale e del rapporto pubblico-privato, sbilanciato a favore del secondo; della rivisitazione di funzioni e assetto della prevenzione; di un più incisivo governo dell’offerta di cura e della riduzione e il governo delle liste d’attesa; di decongestionare la rete di emergenza e urgenza e dello sviluppo delle cure domiciliari.

Dall’indagine emerge che a Bergamo molte persone sono preoccupate di non poter più contare sul SSNdice Angelo Murabito, della segreteria della CISL Bergamo -. È chiaro come sia diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella propria provincia a causa delle liste di attesa sempre più lunghe. Molti intervistati hanno dichiarato che in caso di visite specialistiche necessarie o accertamenti sanitari si sono rivolti a strutture private pagando di tasca propria. Questo comporta che molti bergamaschi sono molto preoccupati per il funzionamento del SSN nel prossimo futuro, temendo di non poter accedere a cure tempestive e appropriate in caso di malattia. La difficoltà di accesso alle prestazioni genera l’idea che l’universalismo formale in realtà nasconda disparità reali che ampliano le disuguaglianze sociali.

Per la CISL,  la sanità deve essere considerata un investimento e deve rientrare tra i settori strategici del nostro paese. Servono misure e risorse significative per rafforzare il SSN, ma anche per garantire la copertura, l’adeguatezza e la sostenibilità del sistema sanitario e di protezione sociale. Bisogna creare un vero welfare di comunità continua Murabitoche possa garantire a tutti l’accesso equo e capillare alle cure.  Per questo bisogna mettere in opera gli obiettivi del PNRR, per potenziare la dimensione territoriale e adeguare gli organici per garantire i servizi previsti dalle reti di prossimità e per l’assistenza sanitaria territoriale. Una reale integrazione fra Ospedale e territorio che sia in grado di prendere in carico i diversi bisogni di salute delle persone”.

La grande emergenza è la carenza di professionisti sanitari  – conclude il sindacalista bergamascoe per questo chiediamo di definire un adeguato piano di assunzione sia dei medici sia del restante personale sanitario; sottoscrivere rapidamente i ccnl; rafforzare i meccanismi di valorizzazione del personale; estendere ai lavoratori della sanità pubblica le agevolazioni fiscali sui premi di risultato al pari dei lavoratori del privato. Rinnovare i contratti nazionali dei dipendenti della sanità privata scaduti da tempo e per questo chiediamo di inserire clausole di garanzia da inserire negli accreditamenti regionali in grado di evitare il dumping contrattuale”.

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