Made in Immigritaly. A Bergamo servono servizi e case per i lavoratori

Il rapporto tra lavoro agricolo e la presenza di un numero sempre maggiore di lavoratori immigrati è da sempre all’attenzione di FAI CISL di Bergamo, che ha fatto di accoglienza, sicurezza e integrazione i punti di interesse e forza della propria azione sindacale, al punto che il proprio direttivo rappresenta quasi tutte le etnie presenti nel settore in provincia. Gli stranieri sono la metà dei lavoratori agricoli dipendenti della provincia di Bergamo; e gli indiani, a loro volta, sono la metà degli stranieri occupati nel settore. Le difficoltà non mancano di certo, ma l’apporto positivo, sia in quantità che in qualità di questa come di altre etnie alla produzione agricola bergamasca è fuori da ogni discussione”.

Gianluigi Bramaschi, segretario generale di FAI CISL Bergamo ha introdotto così i lavori del convegno dedicato alla presentazione di “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, primo report su lavoratrici e lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Il dossier (Commissionato dalla FAI CISL e realizzato dal Centro Studi Confronti ed è curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati), raccoglie dati, analisi e proposte e approfondisce anche nove casi studio territoriali, tra i quali la pianura della bassa bergamasca, specializzata nella produzione lattiero-casearia e nella trasformazione del latte (in modo particolare nella produzione del formaggio Grana Padano), dove è stato studiato il ruolo degli indiani di religione sikh nella zootecnia.

La ricerca esamina i modi in cui il lavoro immigrato viene gestito in contesti specifici e analizza, oltre alle criticità, i diversi profili del fenomeno, inclusi gli esiti più incoraggianti, frutto di meccanismi virtuosi di cooperazione, apprendimento reciproco, integrazione locale che si stanno realizzando sui luoghi di lavoro.

Tra i casi emblematici relativi alla presenza di forza lavoro di origine straniera nel settore agroalimentare, troviamo appunto quello della comunità indiana di religione sikh, specializzata nella produzione lattiero-casearia. Negli ultimi tre decenni si è infatti creata e poi consolidata una “nicchia occupazionale etnica” che ha contribuito a fornire manodopera al comparto zootecnico dell’allevamento e della mungitura dei bovini, nonché ai processi di trasformazione del latte in derivati.

In provincia di Bergamo, negli ultimi anni, sono state fatte quasi 15 mila assunzioni nel settore agricolo. Data la stagionalità tipica del settore agricolo e dalla usura fisica che l’attività agricola comporta, la gran parte delle assunzioni sono concentrate nelle fasce d’età più giovani, tra i 20 e i 39 anni. Da un punto di vista della nazionalità dei lavoratori assunti, “solo” il 45% è italiano, il 5% originario di un Paese dell’Unione Europea, mentre il 50% è originario di un Paese extracomunitario. I lavoratori italiani vengono maggiormente impiegati nelle fasce d’età più giovani (15-19 e 20-24 anni) e meno giovani (55-59 e 60-64 anni).

Una particolarità del rapporto è quello di sottolineare il problema per cui buona parte della popolazione, di fronte all’eccellenza del made in Italy, non si preoccupa del ruolo e delle condizioni di vita dei lavoratori immigrati occupati in questo settore, come invece fatto dalla FAI – continua Bramaschi -, che in questi anni ha affrontato le problematiche riguardanti questi lavoratori, seguendo azioni verso la loro inclusione, con percorsi utili a difenderne la dignità, oltre che a valorizzarne l’impegno e la professionalità, visto che rappresentano un pilastro sociale, economico e culturale dell’economia locale”.

Nella ricerca emerge chiaramente come la bassa Bergamasca sia uno dei siti più importanti per presenze di aziende della filiera lattiero casearia, e Bergamo, in regione, è la terza per attività di trasformazione del latte in derivati. Secondo i dati ufficiali, nell’intero settore agricolo, in Lombardia i lavoratori immigrati sono 60.316. Poco più di 40mila di questi lavoratori arrivano da Paesi Comunitari, mentre circa 20.200 arrivano da Paesi Extra UE. Bergamo occupa oltre 6.000 operai immigrati. Di questi, quasi 2.500 sono extracomunitari. Il gruppo dei Sikh (con quasi 1200 occupati) è senza paragone il più grande in assoluto tra quelli impiegati, soprattutto nella “bassa”, soprattutto nel “reparto” dell’allevamento dei bovini, quello meno soggetto a stagionalità e precarietà. Proprio loro hanno saputo cogliere al volo la domanda di “nuovi bergamini” nella pianura e in quella orobica in particolare.

Il rischio di scomparsa della figura del pastore ha comportato che l’immigrazione straniera, soprattutto quella indiana, abbia contribuito a salvare produzione e strutture produttive, dal momento che le fasce più giovani della popolazione locale, più istruite dei genitori, si sono orientate verso impieghi congruenti con la loro formazione, oltre a cercare stili di vita slegati dalle fatiche agricole e dalla routine della cura degli animali. Inoltre, l’area della Bassa ha dimostrato una certa ospitalità mettendo a disposizione locali e strutture a rischio di spopolamento a prezzi accessibili. Insomma, una nemmeno troppo piccola “enclave” Punjabi ha trovato casa e lavoro tra i cascinale e le aziende agricole della bassa bergamasca, diventando una presenza necessaria, anche se non sempre adeguatamente riconosciuta e apprezzata, nonostante, conclude la ricerca, gli immigrati indiani abbiano risposto a una sfasatura tra una crescente richiesta di manodopera e una ridotta offerta di forza lavoro locale.

Secondo FAI CISL, come spesso ribadito dal segretario nazionale Onofrio Rota a tutti i tavoli contro il caporalato, è  necessario  rendere più efficace la lotta al sommerso e allo sfruttamento, anche attraverso l’incrocio delle banche dati, e prevedere percorsi di emersione per gli stranieri che denunciano casi di sfruttamento, anche attraverso l’assegno di inclusione, favorendo così una vera immigrazione regolare e costruttiva.

Sappiamo bene che il made in italy del cibo viene prodotto da molti stranieri nella nostra provincia ha precisato Francesco Corna, Segretario generale CISL di Bergamo -. Purtroppo, ancora per molti cittadini, questi lavoratori si vorrebbero relegare nei campi e vederli girare il meno possibile. L’idea della CISL, invece, è che il loro supporto sia importante e determinante, e non solo nell’agricoltura, perciò dobbiamo farci carico dell’integrazione delle persone che arrivano a vivere da noi. Creare condizioni affinché siano accolte e abbiano servizi e abitazioni adeguati alle loro esigenze. Ne abbiamo bisogno, noi e il sistema produttivo, ma è una questione di dignità; il sindacato deve essere tra i promotori dell’accoglienza e integrazione per arricchire la nostra economia e la nostra società”.

C’è ancora tanto da fare, ovviamente, ma  senza dubbio oggi l’agroalimentare made in Italy, così fortemente identitario, diviene lo spazio d’elezione dell’integrazione”, ha concluso Bramaschi.

 

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