Il terziario bergamasco e il lavoro povero. Si apre il Congresso Fisascat Cisl

lavoro povero

Sottopagato, precario, part time involontario, basse qualifiche e scarsa formazione: l’orizzonte del lavoro, soprattutto nel terziario è questo. E questa sarò la sfida da raccogliere e vincere per i prossimi anni”. Claudia Belotti, segretaria generale uscente della FISASCAT, lancia la sfida dal palco del 10° Congresso della prima categoria CISL di Bergamo tra i lavoratori attivi, in corso a Cologno al Serio ( si apre oggi – MARTEDì 23 NOVEMBRE –  con una tavola rotonda dedicata all’argomento trattato dal punto di vista delle lavoratrici, grande maggioranza delle occupate nei settori di competenza FISASCAT.  Si chiude domani – MERCOLEDì 24 NOVEMBRE – con l’elezione della segreteria).

Quella contro il lavoro povero è una battaglia che la CISL ha intrapreso da tempo, e FISASCAT Bergamo si è trovata, nei due anni che hanno sconvolto queste latitudini, a fronteggiare situazioni in cui “… la carenza è diventata l’attrice protagonista: abbiamo capito sulla nostra pelle che la parola povertà non è più una questione teorica o una condizione relegata ai paesi del terzo mondo, ma è una realtà, anche in terra bergamasca, con cui ci confrontiamo ogni giorno e che  ha cambiato la vita, ad ognuno di noi, a noi e alle persone che rappresentiamo, quelle che ogni giorno gridano ‘aiuto’, anche ai nostri sportelli. L’ILO ha pubblicato le stime mondiali della distribuzione del reddito da lavoro, dando atto della disuguaglianza diffusa rispetto ai livelli salariali. Dalla sua analisi si ricava che il 10% dei lavoratori nel mondo riceve il 48,9% dei salari complessivi, mentre il 50% dei lavoratori meno pagati riceve solamente il 6,4% dei salari complessivi”.

A Bergamo oggi ci sono circa 5.000 famiglie che si trovano in condizione di povertà, e molti di questi casi sono determinati dalla presenza di un lavoratore povero a capo del nucleo. Da una proiezione FISASCAT Bergamo, su un totale di 50.000 addetti nel terziario (turismo commercio e affini), più della metà ha contratti precari, tantissimi sono i part time, non sempre richiesti, e la media degli stipendi è ben lontana dalla remunerazione dignitosa. “Inutile dire che la fascia più colpita da questa deregulation è la quota femminile dell’occupazione. Se in famiglia è solo un lavoratore del settore a “tirare la carretta” è quasi scontato che la famiglia viva al limite della povertà. Ancor di più se il capo famiglia è donna”.

Uno spaccato insostenibile di lavoro povero che ci riguarda direttamente. Il confronto la media Ue è tremendo. Anche nel 2019 l’Italia era l’unico Paese tra i maggiori sei d’Europa che non aveva ancora recuperato il livello salariale precedente alla crisi del 2008. E anche l’occupazione non riserva ancora buone notizie. Fino ad agosto c’è stato un parziale recupero di occupazione sull’anno precedente, ma di questo la grandissima maggioranza è a termine, e si certifica un fortissimo aumento della precarietà e delle differenze generazionali e di genere. Nel part time italiano, e nel terziario in particolar modo, la percentuale di involontarietà è molto più alta che altrove: 66,2% contro il 24,7% dell’Eurozona. “Quello che dovrebbe essere uno strumento di conciliazione rischia di diventare una tipologia di lavoro povero, visto che si lega a doppio mandato a bassi salari e basse qualifiche e ovviamente alla precarietà. La retribuzione part-time in Italia è più bassa della media dell’Eurozona di oltre il 10%”.

È qui che il ruolo del sindacato deve incidere maggiormente, ma anche nel turismo e nel commercio la presenza di contrattazioni e sindacati spuri è particolarmente presente. I CCNL del settore sono 9 firmati dal sindacato confederale e 43 di dubbia rappresentatività, con minimi contrattuali inferiori del 20% o del 30%. In condizioni di contrattazione povera, in provincia di Bergamo e nel settore del terziario, sono circa 2000 lavoratori. “Li incrociamo quando le persone arrivano nei nostri uffici, e ci mostrano il contratto di assunzione, con l’applicazione di un contratto  firmato da un sindacato di cui nessuno ha sentito parlare, ma che è firmatario comunque di un contratto depositato al CNEL, e quindi riconosciuto. Dobbiamo batterci perché il CNEL diventi garanzia di legittimità”.

Serve una profonda azione culturale – conclude Belotti – per far sì che il sindacato riprenda in pieno il ruolo che gli compete e riesca a ridefinire regole e contratti al rialzo. Le regole sono linee guida e sono fondamentali per i più deboli, perché i forti possono permettersi di vivere nella giungla. Con forza dobbiamo ricordarlo e continuare a farlo per non permettere a quelli che confondono la libertà con l’assenza di regole, di prevalere sugli altri. Il sindacato deve tornare a essere  culla della solidarietà, dello stare insieme, di fare gruppo, di condividere e poi di fare, di aiutare e di aiutarsi, di non lasciare mai da solo nessuno, nemmeno l’ultimo, di farsi carico dei problemi dell’altro”.

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