La tragedia di Andrea e la sicurezza dimenticata

La tragedia di Andrea e la sicurezza dimenticata

Caro direttore, ha commosso davvero tutti la vicenda stra­ziante di Andrea, morto ad appena 18 anni per un incidente sul la­voro nel parcheggio di un centro commerciale di Milano. Le parole di denuncia su Facebook della sua insegnan­te di liceo suonano come una pesante sconfitta: “Andrea non voleva più continuare a studiare. Lui voleva lavorare. Ma quel primo lavoro ce l’ha portato via“. Nel nostro Paese ogni giorno in media tre persone perdono la vita sul lavoro. Succede in tutti i settori, privati e pubblici, come è accaduto qualche mese nell’Archivio di Stato di Arezzo. È una lenta morte collettiva, silenziosa, incrementata dalla precarietà,dai mancati investimenti in sicurezza, dall’omissione dei controlli. In nome spesso del profitto ottenuto sulla pelle dei lavoratori.

Eppure la sicu­rezza nei luoghi di lavoro è un “non tema” nel dibattito pubblico, politico e istituzio­nale. Se ne discute solo nelle formali note di cordoglio, dopo l’ennesima “morte bianca”. Poi si va avanti come prima, si aspetta il prossimo incidente, come se nulla fosse. Nessun esponente del nuovo governo ha usato in questi mesi la parola “Sicurezza” ri­guardo alla sicurezza che dav­vero manca in Italia, quella sul lavoro. Nessuno ha citato i ta­gli alla sanità, il depotenziamento dell’Inail, il calo delle ispezioni. Ma se ne parla poco anche nei territori, nelle Re­gioni, nei Comuni, nelle scuo­le, nelle università, sui mass-media, in tutti i luoghi in cui invece si dovrebbe costruire una vera alleanza per imporre il rispetto della vita e del valore del lavoro, come spesso ci ricorda anche papa Francesco. Si dovrebbe puntare a uno sviluppo industriale compatibile con la sicurezza, la tutela dell’ambiente, la messa in sicurezza del territorio, senza tutti questi “no” a prescindere, contro la Tav e le altre necessarie opere pubbliche allo sviluppo, ad esempio, senza contrapposizioni ideologiche, populismi, ritorni antistorici al passato.

Se vogliamo far crescere la nostra economia dovremmo investire di più sulla prevenzione nei luoghi di lavoro, sul­l’innovazione, sulla ricerca, su una vera alternanza scuola-la­voro, sulla formazione delle nuove competenze che servo­no ai giovani per trovare una occupazione stabile. Questo dovrebbe essere il primo pun­to di una manovra davvero espansiva e di crescita economica, sociale e culturale per il nostro Paese, cui L’Europa non potrebbe mostrarsi contraria. Bisognerebbe davvero marciare insieme, imprese e società civile in nome di questi obiettivi, per assumere il tema del lavoro dei giovani e della sua sicurezza come la “questione nazionale” su cui misurare la reale e concreta volontà e at­tenzione della politica ai problemi dei cittadini e dei più deboli, attraverso norme legi­slative chiare, con le giuste ga­ranzie della contrattazione con più partecipazione e protagonismo dei lavoratori nelle scelte delle imprese. Questo è il modello che vuole la Cisl.

Anche la digita­lizzazione e le nuove tecnolo­gie andrebbero governate e messe al servizio di migliori condizioni nel mondo del la­voro. È evidente che le imprese grandi e piccole sono chiamate oggi a un ruolo di grande responsabilità. Dovrebbero investire in nuovi macchinari più sicuri, rendendo i luoghi di lavoro sempre meno vulnerabili agli incidenti. E anche il sindacato deve fare di più: denunciare gli appalti al ribasso, l’eccesso di esternalizzazioni, pretendere il rispetto integrale di tutte le norme sulla sicurezza. C’è bi­sogno di vincoli seri, di discu­tere sui carichi eccessivi di la­voro e di straordinari, contrat­tare il lavoro festivo e domeni­cale, eliminare o ridurre al minimo i rischi per la salute. Dobbiamo farlo per Andrea e per tutti quei giovani che cre­scono ancora nelle potenziali­tà del nostro Paese, nel valore unificante del lavoro e della dignità della persona.


Annamaria Furlan
Segretaria Generale Cisl

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