L’Eco di Bergamo ha dedicato uno speciale sul lavoro di cura svolto dalla badanti in Bergamasca. Riportiamo alcuni stralci con le dichiarazioni di Candida Sonzogni (Segreteria Cisl), Alberto Citerio (Segretario Generale Fisascat Cisl), Stefania Paravisi (responsabile del servizio per i datori di lavoro di colf e badanti alla Cisl) e Isabel Perletti (responsabile Sportello Lavoro Cisl).
Sono il motore di un business milionario e la stampella di un welfare zoppicante. Eppure le «badanti» sono ancora in buona parte invisibili. Avviene anche nella Bergamasca, che pure ha fatto molto per loro – più che nel resto del Paese – in termini di riconoscimento e tutele, grazie alle battaglie di sindacati e patronati e alla sensibilità delle famiglie che le assumono. Eppure, il nemico numero uno si chiama ancora lavoro nero. «Nella Bergamasca, per 12 mila rapporti regolari di lavoro domestico, si stima che ce ne siano almeno altrettanti irregolari», ammette Alberto Citerio. Significa che è assunta «in nero» una badante su due. Come se non bastasse «la tendenza è a una leggera contrazione dei contratti regolari, a favore del sommerso», annota ancora Citerio. Le ragioni sono diverse. E non è solo colpa delle famiglie. «Il nero viene visto da chi assume una badante come scorciatoia per risparmiare, ma alla fine porta solo guai: espone a contenziosi e vertenze, non dà certezze a chi assume, zero tutele a chi lavora. La nostra battaglia è far comprendere che, al contrario, un rapporto regolare è una garanzia per entrambe le parti. Certo, ha dei costi. E le famiglie non sono sufficientemente aiutate». Quali costi, è presto detto. Secondo il contratto collettivo di lavoro domestico (la strada maestra, secondo i sindacati) una badante convivente assunta per assistere una persona non autosufficiente implica per la famiglia una spesa di 1.350 euro al mese e, per la lavoratrice, un’entrata netta di circa 910 (il resto se ne va in contributi, accantonamento per tredicesima e Tfr). Il tutto per 54 ore settimanali di lavoro (nei fatti è una quantificazione puramente convenzionale), 2 ore libere al giorno, una giornata e mezza di riposo (solitamente dal sabato a mezzogiorno fino alla mezzanotte di domenica). Con questa forma di contratto, la lavoratrice è tutelata anche dal punto di vista dell’assenza per malattia (fino a un massimo di 30 giorni, condizione migliorativa solo “bergamasca”, rispetto al contratto nazionale che prevede 15 giorni retribuiti) e per gravidanza (due mesi prima e tre mesi dopo la nascita, senza però il congedo facoltativo per i mesi seguenti).
Il «nero» fa risparmiare la famiglia nel breve periodo, ma (oltre ad essere illegale) non dà alcuna garanzia, anzi espone a contenziosi e cause di lavoro potenzialmente molto onerosi. «Il contratto è la strada da seguire – esorta Candida Sonzogni – ma per venire incontro alle famiglie va rafforzata la detrazione fiscale. Gli sgravi attuali non bastano: mentre se si opta per una casa di riposo si può dedurre fiscalmente l’intera parte sanitaria della retta, per una badante ci si ferma al 19% di 2.100 euro, cioè 399 euro all’anno. Considerando pure la deduzione dei contributi, un po’ poco…». Secondo i sindacati, il dato positivo è che la sensibilità delle famiglie rispetto alla volontà di regolarizzare i rapporti di lavoro domestici è aumentata. … «Capita che siano le stesse lavoratrici – illustra Citerio – a chiedere la stipula di contratti in cui viene dichiarata solo una parte delle ore effettivamente svolte. E il resto in nero. È un errore, così non si fa altro che svilire il settore». … Ma il «badantato» è anche un business, che muove un sacco di soldi. Per questo attorno a questo mondo sono sorte anche numerose agenzie che si propongono come luogo d’incontro tra domanda e offerta. Offrono un servizio perché sgravano la famiglia dalla faticosa attività di ricerca della persona per assistere l’anziano non autosufficiente. La famiglia è convinta che il trattamento economico verso la lavoratrice sia quello giusto, così come spesso ne è convinta la badante. «In realtà non è così – spiega Citerio -: spesso alle badanti queste organizzazioni fanno aprire una partita Iva e poi le collocano presso le famiglie come lavoratrici autonome. Molte di loro non sanno neppure cosa sia, la partita Iva». Se ne accorgono quando arriva la cartella esattoriale dall’Agenzia delle Entrate. … Tradotto: lavorano, senza le tutele del contratto di categoria, per 22 ore al giorno, per circa 600 euro netti al mese. All’agenzia le famiglie ne versano circa 1.500. Nulla di irregolare, tutto legale. «Ma secondo noi è uno sfruttamento, anche se non abbiamo gli strumenti giuridici per contrastarlo», conclude Citerio. …
Ventidue ore al giorno per 910 euro mensili netti. Sulla carta sarebbero 54 ore a settimana «ma la quantificazione oraria è solo puramente convenzionale», chiarisce Stefania Paravisi. Infatti le ore sono molte di più, 22 al giorno, appunto, perché il contratto prevede 2 ore di riposo sulle 24 totali. «Generalmente staccano dalle 14 alle 16». Il riposo? «È di 36 ore, di solito dal mezzogiorno del sabato alla mezzanotte della domenica». A Bergamo i giorni di malattia possono arrivare fino a 30 (meglio dei soli 15 previsti dal contratto nazionale) e sono a carico del datore di lavoro (la famiglia) e non dell’Inps (la quota contributiva versata non basterebbe a coprire i costi). La tutela per la maternità è inferiore rispetto a quella per le lavoratrici di altre categorie, perché prevede sì due mesi prima e tre dopo il parto, coperti dall’Inps, ma non contempla la possibilità di usufruire di un congedo facoltativo, seppur a stipendio ridotto, come avviene per le donne impiegate in altri settori. L’obiettivo dei sindacati è arrivare a una procedura di formazione professionale continua delle badanti. Tornando alla paga, su quei 910 euro netti mensili che percepiscono, le badanti devono ovviamente pagare le tasse. Sono tenute alla dichiarazione dei redditi e devono pagare l’Irpef, perché il loro datore di lavoro (la famiglia) non è sostituto d’imposta. Possono compilare il 730 per portare in detrazione figli a carico (anche se residenti all’estero) o chiedere gli 80 euro del cosiddetto bonus Renzi. … Gli ultimi dati riguardanti i contratti regolari in provincia di Bergamo vedono le donne «badanti» in stragrande maggioranza (87%) rispetto agli uomini, che pure – un po’ a sorpresa forse – ci sono. Il 77% sono straniere… quelle conviventi con il loro assistito sono per il 45% sudamericane, altrettante dell’Est Europa, solo il 10% africane, praticamente nessuna italiana (sono italiane, invece, il 25% delle badanti non conviventi, le cosiddette «diurne»). Mente le sudamericane sono ormai radicate sul territorio, spesso a seguito di ricongiungimenti familiari, tra le donne dell’est il turnover è ancora molto elevato. …
Nelle ore di libertà dal servizio, si possono trovare ai giardini vicino al teatro Donizetti, o sulle panchine di piazza Matteotti. Oppure alla domenica mattina vicino alla Motorizzazione, dove partono i furgoncini zeppi di beni di ogni sorta da inviare a casa, destinazione Ucraina, Romania. Un piccolo esercito di spedizionieri improvvisati riceve precise indicazioni (e soldi) per il servizio di corriere espresso fai-da-te. Sono queste le «piazze» dove le badanti si incontrano, si scambiano informazioni. Qui addirittura si colgono opportunità di lavoro. Perché in questo campo il passaparola fa ancora la parte del leone. Eppure sulle badanti è stata scritta una legge. È una legge regionale, la numero 15 del 2015. Prevede, tra l’altro, la creazione di un registro delle assistenti familiari. Non una cosa da poco: si punta a istituzionalizzare e rendere più professionale e «certificata» la loro attività e soprattutto – dato che si tratta, nelle intenzioni, di un registro pubblico – a facilitare la ricerca di una collaboratrice referenziata da parte delle famiglie, che il più delle volte, quando si trovano nel momento del bisogno per l’assistenza di un anziano genitore, un fratello o un parente, non sanno dove sbattere la testa. Peccato che la legge sia rimasta sostanzialmente lettera morta. «Qualcuno ha tentato di realizzare il registro, ma la norma è rimasta pressoché inattuata», osserva Citerio. «La pecca della legge 15 – aggiunge Sonzogni – è che non stanzia risorse». Le fa eco Perletti: «La legge così com’è scritta non corrisponde al mercato. Per iscriversi le badanti devono superare un corso di 160 ore e superare un test di lingua italiana di livello A2. Tante di loro devono lavorare e non riescono a “stare ferme” senza percepire guadagni, per frequentare un corso. Tantomeno a prepararsi per il test di lingua. E poi l’iscrizione al registro, così com’è stata pensata, non dà alla badante alcun vantaggio retributivo: la paga è la stessa di chi non si iscrive». …
Vittorio Attanà (L’Eco di Bergamo – 30 settembre 2018)