La Fondazione Chizzolini è in relazioni ufficiali con l’Unesco

Chizzolini è in relazioni ufficiali con l'Unesco

La Fondazione Vittorino Chizzolini ha ottenuto un importante riconoscimento dall’Unesco. Di fatto la Fondazione, presieduta da Stefania Gandolfi, (la Cisl di Bergamo è nel CdA nella persona di Candida Sonzogni) con decreto del Direttore Generale dell’Unesco del 10 giugno 2021 è in relazioni ufficiali con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. E’ la prima Fondazione di Italia a raggiungere questo traguardo. La Fondazione 

«Noi abbiamo sempre lavorato sui temi che l’Unesco privilegia, in particolare sui diritti dell’uomo e sulla formazione degli insegnantispiega con orgoglio Stefania Gandolfi -. Nei nostri seminari sottolineiamo sempre come gli insegnanti siano il motore, il centro di sviluppo della scuola, che è uno stimolo per la crescita di tutta la comunità. Il riconoscimento nasce da qui e dall’attività che facciamo sui diritti dell’uomo. Un altro aspetto valorizzato molto dall’Unesco sono i lavori che abbiamo fatto sulle condizioni necessarie per realizzare il diritto all’educazione, quelli sanciti dalle Nazioni Unite. Da lì siamo sempre partiti per le ricerche sul diritto all’educazione, chiedendoci come un sistema educativo può definire una legittimità democratica e quindi una procreazione di valori, che gli attori in campo devono costantemente promuovere attraverso l’educazione».

Che effetti avrà sul vostro lavoro il raggiungimento di questo traguardo?

«Ci darà la possibilità di nuove aperture con culture e religioni diverse. Con il cappello Unesco si opera in qualunque contesto. All’Università di Niamey, in Niger, con la quale collaboriamo e dove sono quasi tutti di religione islamica, sono stati i primi a complimentarsi con noi. “Noi abbiamo un unico Dio – ci hanno detto – e con questo Dio andremo avanti e cammineremo insieme con più facilità”. Il cappello Unesco apre a un dialogo interculturale e interreligioso significativo. Questo riconoscimento per noi significa apertura ad altre culture e religioni, e poter potenziare la formazione degli insegnanti di ogni ordine e grado sui temi dei diritti dell’uomo, dell’educazione interculturale, della reciprocità, del riconoscimento delle persone, dell’interrelazione tra attori pubblici, privati e società civile. Formare gli insegnanti significa anche sottolineare la sussidiarietà tra questi attori e creare connessioni nella comunità».

Avrete quindi margini d’azione più ampi?

«Dal 2019, da quando siamo diventati Fondazione, abbiamo avviato progetti con l’Unesco, progetti che riguardavano Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. In 2 anni abbiamo esaminato 28 Paesi, africani ma anche del Sud-est asiatico e dell’America latina, per vedere a che punto sono con i loro diritti. Siamo partiti dalla legislazione promossa dall’Unesco, le dichiarazioni, le convenzioni, le leggi di orientamento, i piani quinquennali, per capire se questi sono stati osservati e hanno aiutato il Paese a camminare oppure sono rimasti lettera morta. Abbiamo visto qual è l’importanza della governance di un sistema educativo e che tipo di sinergia questa governance riesce a promuovere tra le varie attività educative, mettendo al primo posto la cultura dei diritti dell’uomo e l’obiettivo del bene comune».

Lavorate per i giovani ma anche con i giovani.

«Un aspetto di cui l’Unesco ha sottolineato l’importanza. All’interno della Fondazione abbiamo un bel gruppo di giovani di alto livello. Alcuni hanno dottorati, altri hanno seguito corsi di perfezionamento, sono tutti ben preparati, il loro ruolo è diventato preponderante sia per il lavoro sui progetti sia per le decisioni che la Fondazione va prendendo».

Quanto ha influito la pandemia sulle vostre attività?

«Molto. Non abbiamo più fatto riunioni, abbiamo dovuto lavorare da remoto. Lavorare in presenza non è la stessa cosa: quando incontri le persone elabori, collabori, produci, dialoghi, cresci. E poi le connessioni con l’Africa sono più difficili, costano, e funzionano e non funzionano».

Progetti in corso?

«All’Università di Niamey è in dirittura d’arrivo un manuale pedagogico scritto da ricercatori e personale dell’ateneo, un quaderno che ha come obiettivo aiutare gli insegnanti in servizio e quelli in formazione ma anche i formatori degli insegnanti. Il libro sarà tradotto in quattro lingue locali e in francese. Per l’edizione francese saremo pronti in dicembre e probabilmente sarà stampata dall’Unesco di Ginevra, per il quaderno in quattro lingue ci vorrà invece più tempo. Dall’anno prossimo si comincerà a fare formazione agli insegnanti a partire da questi contenuti. Le quattro lingue locali sono lingue regionali e quindi parlate in tutto il Sahel. Il manuale sarà diffuso via internet e anche in copie cartacee. Ci sono capitoli che spiegano come si insegna attraverso i proverbi e i racconti, come il Corano può diventare uno strumento di insegnamento per i contenuti che veicola, hanno ripescato tutto un sapere autoctono per tradurlo e creare in Niger una scuola che non sia la conseguenza della colonizzazione francese ma che sia la scuola locale che guarda al futuro. A fine agosto in Burkina Faso faremo un atelier per un quaderno pedagogico frutto di un progetto che riguarda la situazione del diritto all’educazione nelle regioni di quel Paese. E sempre in Burkina inizieremo un progetto in appoggio a un’università molto giovane che si trova a 80 chilometri dalla capitale e che è gestita dai padri domenicani. Li ho incontrati in Costa d’Avorio, ci hanno chiesto una mano per sviluppare questo ateneo che ha appena tre anni di vita. Non chiedono solo un progetto di cooperazione ma anche un progetto di ricerca. Un processo partecipativo, un lavoro di analisi e studio che consenta di favorire la crescita dell’università. E di guardare al futuro con speranza».

 di Camilla Bianchi, pubblicato su L’Eco di Bergamo il 24 luglio 2021

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