Donne al lavoro tra luoghi comuni, violenza e contrattazione virtuosa

Particolare attenzione è stato posto al Congresso territoriale della Femca Cisl, concluso pochi giorni fa, al tema delicato dell’essere donna in un contesto attuale ancora funestato, purtroppo, dall’ingigantirsi del fenomeno della violenza di genere. La Femca Cisl Bergamo ha affrontato la questione portando l’esperienza delle tante donne che vivono e fanno il sindacato. Un passaggio congressuale molto sentito: LE DONNE IN-VISIBILI. Perché, purtroppo, invisibili le donne lo sono ancora, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e ancora peggio lo sono tra le mura domestiche il luogo dove si pensa che una donna possa sentirsi più amata e protetta. Ma non sempre è così. 

Donne ferite, se non nella fisicità, anche con la finta leggerezza di alcune parole che non mancano di rivelare un peso che è meglio non ricordare per non venirci schiacciate. Stupida, siliconata, gallina, tardona, mantenuta per finire in allocuzioni maschiliste difficili da estirpare come:  “datti ai fornelli, questo lavoro non è adatto a una donna… ma su, dai infondo ti piace; sta zitta, e ascolta!

Le parole hanno un pesoha ricordato la segretaria Maria Ferrantee ne ribadiamo la pericolosità ed è necessario esserne consapevoli quando le si scagliano contro l’animo di una donna troppo fragile per poter reagire. Le parole hanno un peso  nella vita e sul lavoro. E per carità smettiamola di difenderci tirando in ballo l’ironia e il sarcasmo, quelle sono arti delle quali bisogna imparare il mestiere, non confondiamo le acque e i livelli. Le parole hanno un peso e certe ferite resistono nel tempo“. 

LUOGHI COMUNI DIFFICILI DA SCALFIRE
La nostra società è abituata a vedere le donne ormai dappertutto ma ancora in molti non si capacitano a vederle in certi mestieri e ancora di più in mestieri ritenuti erroneamente o per pregiudizio poco adatti alle donne. Analizzando la società degli ultimi decenni troviamo la definizione di Donne in carriera agli inizi degli anni 80.  Si è diffusa nel linguaggio comune per indicare le donne che cominciavano a competere con gli uomini per l’assunzione di ruoli decisionali, vantando competenze e credenziali elevate. L’etichetta era di carattere sociale negativa, che enfatizzava i tratti caratteriali maschili attribuiti alle donne di successo. Le donne in carriera erano descritte come eleganti, ciniche e senza figli. Erano donne , nell’immaginario collettivo , che rinunciavano alla famiglia per il lavoro, più temute che amate, sia dagli uomini ma anche, purtroppo, da altre donne

Oggi alle donne in carriera, viene attribuita un immagine sociale più rassicurante ma non del tutto ancora positiva. E’ vista ancora come elegante, forse meno cinica ma a differenza degli anni 80 non è senza figli. Resta invariato, invece, il pensiero che le donne che dedicano interesse ed energia al proprio lavoro siano inadeguate in ambito familiare ed altrettanto ben di rado un giudizio di inadeguatezza venga associato all’impegno maschile. Negli anni 80, il capofamiglia era tipicamente un operaio dell’industria. Poteva garantire un’elevata produttività , un reddito sufficiente per tutta la famiglia anche grazie al fatto di essere al centro delle cure familiari ma anche sollevato da ogni responsabilità ed incombenze che andasse oltre il suo lavoro.

La perfetta complementarità delle due figure faceva perno su una netta simmetria di genere che attribuiva all’uomo le responsabilità economiche e riservava alla donne quelle familiari. Questa simmetria ha lasciato tracce profonde nella cultura e nell’organizzazione della società italiana anche se da tempo non è cosi netta e generalizzata. Il grande salto iniziamo a percepirlo quando il titolo di studio rappresenta un fattore decisivo per la partecipazione femminile nel mercato del lavoro , in grado perfino di annullare o ridurre nettamente in alcune realtà la differenza tra uomini e donne. Altro fenomeno che abbiamo imparato a conoscere in questi anni è quello della segregazione occupazionale, distinta tra orizzontale e verticale.

Il primo quello orizzontale, determina la concentrazione femminile in pochi settori e rami di attività economica e in un numero limitato di mestieri e professioni spesso legate a stereotipi sociali e ricalcati sui ruoli tradizionali del lavoro domestico e di cura ( insegnanti, segretarie, impiegate, parrucchiere, infermiere, cassiere etc.)

Il secondo quello verticale, è utilizzato per indicare le barriere invisibili ma straordinariamente resistenti ( il cosiddetto soffitto di cristallo) che ostacolano l’accesso alla donne ai livelli elevati delle gerarchie aziendali. Si tratta di impedimenti non dichiarati e anzi contrastati da numerosi provvedimenti volti a garantire almeno in via di principio le pari opportunità tra uomini e donne nella progressione di carriera. Malgrado ciò la scarsa presenza femminile nei ruoli dirigenziali e nelle posizioni apicali all’interno di imprese  e amministrazioni è sempre ben netta, e al contempo sempre meno giustificabile: le donne sono entrate ormai in quasi tutti i settori produttivi , si presentano con credenziali e aspirazioni sempre più elevate e  sono assai meno propense ad interrompere la carriera lavorativa.

Oggi , in un momento storico molto particolare, ci ritroviamo a dare per scontata la presenza maschile nel mondo del lavoro. Alle donne, invece, purtroppo viene prospettata di nuovo la possibilità di assumere l’identità sociale, il ruolo e il carico di lavoro non retribuito derivati  dall’esclusiva dedizione alla famiglia. Insomma oggi come negli anni  80 è più facile pensare che sia la donna a rinunciare al proprio lavoro per dedicarsi alla famiglia, sia avendo figli piccoli sia non avendone. E’, infatti, tuttora radicata l’opinione secondo cui le donne con figli o genitori da accudire dovrebbero lasciare, almeno temporaneamente il proprio lavoro per prendersi cura dei loro affetti.

E come possiamo notare è ciò che molte donne fanno con ragioni diverse. Si lascia il lavoro per la scarsa tutela, per la carenza dei servizi e sostegni per la cura dei figli o dei genitori se le risorse familiari sono insufficienti per sostenere il costo di baby sitter o badanti per un orario prolungato. Siamo consapevoli che la strada delle disuguaglianze di genere è quindi ancora lunga , le sfide più importanti per il futuro riguardano l’adeguamento organizzativo dei lavoratori  l’aspetto salariale e non in ultimo la costante contrattazione per la conciliazione vita – lavoro.

CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO
La Femca Cisl Bergamo per quest’ultimo punto ha già iniziato a inserire nella contrattazione di II Livello strumenti atti alla salvaguardia e alla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori. Ecco alcuni esempi di contrattazione prevedono l’ampliamento di un giorno del congedo di paternità rispetto a quanto previsto dalla legge, la possibilità di una giornata di permesso retribuito per malattia del figlio di età non superiore a 16 anni, fino a un massimo di quattro giorni nell’anno solare. Inoltre, la contrattazione punta ad accogliere le domande di trasformazione (a tempo determinato e sottoposta a rinnovo annuale) del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Un tipo di contrattazione che mira a favorire una positiva qualità della vita di lavoro che si riflette anche fuori dal tempo del lavoro. Per questo contrattare tempo per le lavoratrici e i lavoratori durante l’esperienza della maternità e della paternità. Richieste di tempo che si declinano con permessi aggiuntivi per le visite mediche nel periodo della gravidanza, permessi aggiuntivi durante il primo mesi di vita del bambino o in occasioni delle vaccinazioni obbligatorie oppure in caso di malattia. Per esempio in una azienda bergamasca sono stati contrattati permessi aggiuntivi per la lavoratrice madre o il lavoratore padre in occasione della malattia del figlio con meno di tre anni di vita per un massimo di tre eventi all’anno e in ogni caso fino a un massimo di 40 ore nel corso dell’anno solare. 

La contrattazione di secondo livelloprecisa Cristian Verdi, riconfermato Segretario generale della Femca Cisl Bergamonon deve limitarsi all’aumento del premio di risultato, misurato sul miglioramento della produttività o reddittività economica aziendale, ma deve incentivare il work-life balance: la conciliazione casa-lavoro, il benessere all’interno delle aziende e la cura verso le persone che ci lavorano, tra cui le tante numerose donne presenti nei nostri settori manifatturieri“.

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