La pandemia è soprattutto Donna. Un altro 8 marzo con il virus

pandemia è soprattutto Donna

Il 98% dei posti di lavoro persi era il posto di lavoro di una donna. L’ISTAT ci dice che nel solo mese di dicembre, sui 101.000 nuovi disoccupati, 99.000 sono donne. La pandemia ha peggiorato la disparità di genere. A dicembre, appunto, l’ultimo crollo del lavoro femminile. In totale nel 2020 su 444.000 lavoratori in meno, 312.000 sono donne. Lavoratrici autonome e a tempo determinato, le più penalizzate. Riparametrando a livello provinciale i dati ISTAT, si può facilmente stabilire che a Bergamo, nel corso del 2020, almeno 60.000 donne, più o meno giovani, più o meno precarie, abbiano perso il proprio posto di lavoro

La pandemia sta amplificando le diseguaglianze sociali e penalizzando le donne, in uno scenario dove già la disparità di genere era una criticità, sia a livello globale che italiano, prima dell’emergenza sanitaria. La differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e da uomini si aggira leggermente sotto il 20%: in alcuni settori del privato quel 20% si supera abbondantemente. La parità salariale diventa sempre più un miraggio e un obiettivo da raggiungere. Il 2020 nella sua drammaticità ha ulteriormente peggiorato il mondo del lavoro femminile.

Il motivo del crollo occupazionale nell’Italia che si è inginocchiata a causa della pandemia è una questione femminile  che ha a che fare soprattutto con la natura del lavoro stesso. Le donne sono prevalentemente impiegate nel settore del commercio, grossomodo a pari peso della sanità e dei servizi sociali (circa un milione e trecento mila occupate per ognuno dei due settori), in manifattura ed istruzione (con un milione di occupate per settore), ristorazione, alberghiero e studi professionali (con 700 mila unità l’uno). Infine, il settore domestico fatto da collaboratrici domestiche, baby sitter, badanti che conta circa 600.000 occupate regolari. Le crisi non interessano in egual misura tutti i settori, non esiste regola, dipende dal carattere della crisi. La crisi è arrivata soprattutto nel mondo dei servizi, dell’assistenza e del lavoro domestico, dove tipicamente si applicano contratti che offrono poca sicurezza e stabilità, dove si fa un anomalo uso del part time, spesso insufficiente anche per raggiungere la quota previdenziale.

Anche il blocco dei licenziamenti non ha messo freni particolari a questa tipologia di lavoratrici; ha frenato e salvaguardato le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato. Quindi donne con bassa occupazione, salari molto più scarsi, contratti più precari e molto meno occupate nelle posizioni aziendali apicali, sono le prime a subire gli schiaffi suonati da questa crisi.

Oltre a questo siamo sempre ad affidare i carichi della cura e della famiglia sulle spalle delle donne. Le donne italiane sono state letteralmente “rimandate a casa” dallo smart working che, inesorabilmente ha finito per sovrapporsi agli impieghi domestici senza creare un minimo di differenziazione ed intervallo, anche di tipo spazio-temporale, tra le attività. A questo va aggiunto il “tradizionale obbligo” delle donne a occuparsi delle sempre più numerose fragilità familiari. Nel corso dello scorso anno, sono state più le donne a fare domanda di 104 (sia come aspettativa che come permessi mensili) rispetto ai compagni maschi, allargando ulteriormente, nell’anno dei tanti lockdown e chiusure di RSA e centri Diurni, la forbice delle domande maschili e femminili. Solo all’INAS di Bergamo, il 60% delle domande è di donne.

Se la pandemia è stata acceleratrice di processi di tipo tecnologico, allo stesso tempo lo è stata anche dei processi di diseguaglianza e di fragilità; ha fatto emergere e rilevare dei punti deboli di una società sui quali serve un intervento massivo. Oltre alle donne, è stato molto penalizzato il mondo dell’infanzia e dei bambini e dell’assistenza ai cosiddetti “fragili”.  Tra accelerazioni e fermate, chi ha continuato il suo cammino inesorabile è sicuramente la violenza subita dalle donne: la violenza di genere non si è mai fermata nemmeno per un istante. Le politiche di genere devono accelerare anch’esse e cogliere il senso di cambiamento che al pandemia ha portato in mezzo a tutti noi; serve forse andare oltre alla conciliazione per arrivare alla condivisione dei carichi di cura e di famiglia. Una maggiore occupazione femminile con delle politiche attive del lavoro che producano un cambiamento culturale importante.

II tema delle pari opportunità rimane un tema cruciale per il nostro paese. L’Italia è sempre il fanalino di coda nell’ambito dell’occupazione femminile e giovanile. Il paese ripartirà soltanto quando diminuiranno le diseguaglianze e quando si investirà in modo serio e continuativo sulle strutture sociali come gli asili nido, pubblici e privati convenzionati, e su tutto ciò che ruota intorno al tema della cura, della famiglia e dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

Katia Dezio, Responsabile Coordinamento Donne CISL Bergamo


EVENTO: 8 marzo: proiezione online gratuita promossa da CGIL-CISL-UIL e Cinema Conca Verde

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