I 70 anni della Cisl: lavoro, riforme, partecipazione e formazione

Settant’anni dalla parte dei lavoratori, come forza riformatrice e democratica. Quella della Cisl è una storia matura e di credibilità conquistata sul campo, in fabbrica: il secondo sindacato in Italia e il primo nella Bergamasca con 126.500 iscritti. Un’organizzazione che, tra i promotori nella nostra terra, ha avuto uomini di prestigio come Aurelio Colleoni, personaggi entrati nella letteratura sindacale come Vincenzo Bombardieri, un segretario nazionale (Savino Pezzotta) e una schiera di dirigenti che hanno fatto parte del vertice romano. La Cisl sta a pieno titolo dentro la storia repubblicana, a volte controcorrente. Sindacalisti cresciuti nella gavetta e nella realtà ruvida: operai poco più che ragazzini, magari allevati alla Dalmine che è stata l’«università del sindacato», poi delegati sindacali, quindi il corso al Centro Studi di Firenze e infine nei ranghi dell’organizzazione. Una scuola di vita.

«Il coraggio dei pochi», accenna soddisfatto il segretario provinciale Francesco Corna, riandando alle radici. Quel 30 aprile 1950 quando, al teatro Adriano a Roma, nasce la Cisl, fondata da Giulio Pastore e sulla piattaforma concettuale di Mario Romani. Si era esaurita in breve tempo l’esperienza unitaria nella Cgil, dove la corrente cristiana si era staccata nel ’48: il detonatore riguardava la contrarietà allo sciopero generale in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio ’48, ma più in profondità coinvolgeva le fratture dei due campi nella Guerra fredda. Un «sindacato nuovo», non un nuovo sindacato: libero, autonomo e partecipativo, che fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa ma aconfessionale. Una rottura non facile, che rinviava alla maturità richiesta in un periodo di forte contrapposizione ideologica. La scissione nasceva dal dissenso sul metodo e sul merito della componente comunista, per un’Italia diversa: nel segno della responsabilità, non dell’antagonismo. Niente manifestazioni pubbliche oggi, per effetto della pandemia, ma un’occasione per capire dove va la Cisl in una fase storica molto dura.

Segretario Corna, uno sguardo storico.
«Il “coraggio dei pochi” non è una frase fatta. La Cisl nasce con un progetto originale, sfidando convenzioni e una certa egemonia culturale. Formazione, innovazione, solidarietà, giustizia. E’ la storia di una grande organizzazione, ma soprattutto di uomini e donne, un’umanità in cammino perché nessuna persona restasse, e rimanga, sola. La sfida del bene comune: partecipazione dei lavoratori nelle imprese e, per la Cisl, il ruolo di protagonista costruttivo della società civile e dell’ordine democratico. La conoscenza di base e professionale è lo strumento di emancipazione del lavoratore, perché possa contribuire a innovare e in definitiva costituisce la sua migliore difesa nel contesto di quella democrazia economica che, da sempre, è nell’orizzonte della Cisl».

Una parabola di 70 anni: ricostruzione postbellica, Statuto dei lavoratori nel ’70, tramonto della grande fabbrica.
«Una grande avventura umana e di passione civile, di progresso e di democrazia: nei posti di lavoro e nel Paese. La Cisl è stata parte integrante del processo di modernizzazione, che ha segnato la storia repubblicana, pur fra strappi e tentazioni regressive: l’orizzonte della crescita civile. La contrattazione aziendale, che la Cisl inaugura nel ’53, per poi diventare un patrimonio comune. Le inquietudini del rinnovamento più intenso: gli anni ’60, la stagione dei grandi contratti dei metalmeccanici, l’autunno caldo, la mobilitazione perché la Costituzione entrasse nelle aziende. Gli anni di Macario e di Carniti, e poi di Marini, che, a Bergamo, ha voluto dire la segreteria di Vincenzo Bombardieri e l’arrivo di una nuova generazione sorretta da un attivismo a tutto campo. Mi riferisco a dirigenti come Zaverio Pagani, capaci di ascolto, mediazione e pragmatismo. La Cisl riesce ad essere una componente critica del movimento sindacale, istituzionalizzando le spinte movimentiste. Penso ai rinnovi contrattuali che hanno gestito le trasformazioni del lavoro, divenute più tardi una mutazione genetica. Gli accordi di San Valentino, dell’84, che raffreddano l’inflazione e preparano il terreno all’ingresso dell’Italia nell’euro. La concertazione, nei primi anni ’90, quando grazie alla moderazione salariale dei sindacati l’Italia supera uno dei suoi momenti più critici».

La Bergamasca ha costituito un ambiente «amichevole» per i confederali.
«Cultura industriale e solidarismo rappresentano le pagine di vita della nostra terra. Abbiamo avuto grandi e sofferte vertenze sindacali. Filati Lastex e Festa Rasini, siamo negli anni ’70 e sono forse le più emblematiche, senza dimenticare – fra le tante – Dalmine, Italsider, San Pellegrino, Legler, Honegger, Albini, Donora, Manifattura Valle Brembana, Mimental (ora Alltub), Frattini, Pigna, Arti Grafiche, Pagliarini. Ecco il legame con il territorio, la linea più avanzata che ha fatto da battistrada. Con la crisi della filiera del tessile degli anni scorsi in Val Seriana, abbiamo prodotto formule contrattuali diventate poi un format nazionale. Cito gli accordi che hanno portato ai 7 giorni lavorativi alla settimana su 5 turni, sperimentando in concreto un’azione innovatrice. In questo modo più persone lavorano e lavorano meno, mantenendo i livelli occupazionali e garantendo il funzionamento degli impianti. Nessuno è rimasto a casa».

Il territorio vuol dire molto.
«La Cisl di Bergamo, forte della sua rappresentanza sul territorio e nei luoghi di lavoro, ha espresso molti dirigenti che hanno ricoperto ruoli di primo piano ad ogni livello dell’organizzazione. Oltre ai già citati Pezzota e Pagani, ha raggiunto la segreteria nazionale Cisl anche Gigi Petteni, cosi come è bergamasco l’attuale segretario generale della Lombardia Ugo Duci. Questo è stato possibile grazie al peso della rappresentanza derivante dai molti iscritti, ma anche alla capacità di lettura dei bisogni ai quali dare risposte concrete, che si forma sul campo stando vicino alle persone. Questa vicinanza, inoltre, ci ha offerto straordinari esempi di impegno e di sacrificio quotidiano: le nostre delegate e i nostri delegati hanno scelto di aiutare e rappresentare i propri colleghi, facendo ciò che è giusto e non ciò che era più comodo, spesso contrastati e discriminati per questo loro impegno. Esempi che ci hanno sostenuto e rafforzato nelle nostre scelte e nel nostro impegno di dirigenti, anche nei momenti più difficili. Questa grande storia ci ha permesso di affrontare i cambiamenti da protagonisti riformatori, e sono sicuro ci aiuterà anche ad affrontare le nuove sfide, convinti che questo futuro non potrà che essere una prospettiva di impegno collettivo come lo è stato nel passato, per costruire un nuovo umanesimo del lavoro che abbia al centro la persona e l’ambiente».

Poi, però, il mondo del lavoro è entrato in un nuovo ciclo.
«Siamo entrati nell’era del lavoro flessibile e agile, passando per la grande crisi degli anni scorsi. Trasformazioni che hanno chiamato in causa la capacità del sindacato di rimettere in discussione se stesso, di accettare la sfida del cambiamento, ridefinendo la natura del rapporto con il lavoratore. Ma è proprio qui che il sindacato gioca la partita decisiva e i risultati non mancano».

E ora, con il coronavirus, non si sa da che parte ricominciare.
«Nel mondo globale dobbiamo fare i conti con l’internazionalizzazione delle filiere. Servono più sindacato europeo, più Europa politica. Stanno emergendo nuove sensibilità: il paradigma della salute pubblica, la tutela dell’ambiente, le cure di prossimità, la conciliazione lavoro-famiglia, l’immigrazione, il lavoro povero. Poi la grande questione delle nuove tecnologie, sapendo che è la macchina al servizio dell’uomo e non viceversa. Ora, però, stanno tornando i fondamentali che fanno comunità. Siamo consapevoli, come Cisl, di avere una grande storia che ci ha insegnato a guardare avanti».

(Intervista di Franco Cattaneo, da l’Eco di Bergamo dell’1/5/20) 

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