Pensioni basse, innalzamento dell’età pensionabile, disoccupazione giovanile, tasso di povertà in crescita. Temi caldi, che abbiamo affrontato con Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl con delega alla previdenza, presente giovedì 20 luglio a Monasterolo del Castello al Direttivo della Fim Cisl Bergamo dedicato alle pensioni.
L’intervista a L’Eco di Bergamo
Il Segretario Petriccioli, nella Bergamasca, in base a dati recenti dell’Inps provinciale, 2 pensionati su 3 vivono con mille euro al mese. La percentuale sale al 73% a livello nazionale. Dati, preoccupanti, che fanno riflettere. Cosa ne pensa? «Ritengo che da questi dati emerga con evidenza la criticità della condizione degli anziani, ma confermi anche la bontà degli interventi previsti con l’intesa (con il governo, ndr) del 28 settembre 2016 sulle pensioni. Alcune di queste misure, contenute nella “fase uno”, come l’equiparazione della No tax area dei pensionati al livello di quella dei dipendenti e l’aumento della quattordicesima mensilità, con estensione ad una platea più vasta per i pensionati a basso reddito, sono state già realizzate. Altre, tese a migliorare la rivalutazione delle pensioni in essere, sono previste nella “fase due” e dovranno essere attuate dal 2019».
Bastano da sole?
«Sono misure che possono contribuire a difendere il potere di acquisto delle pensioni e a evitare il progressivo scivolamento dei soggetti in condizioni economiche più precarie verso la povertà. Occorre però intervenire anche attraverso la leva fiscale e da questo punto di vista la Cisl rilancia l’idea di una riforma fiscale che estenda progressivamente i vantaggi del bonus degli 80 euro anche ai pensionati che oggi non ne usufruiscono».
Quali altri misure potrebbero essere opportune?
«La prospettiva della discesa progressiva della copertura previdenziale, per effetto del metodo contributivo, ci presenta un quadro via via sempre più preoccupante delle condizioni delle generazioni future. Dunque, dobbiamo affrontare il tema delle pensioni per le giovani generazioni tenendo insieme il principio della flessibilità nell’accesso al pensionamento, insito nel sistema contributivo, e l’obiettivo dell’adeguatezza dei tratta menti previdenziali futuri. Per realizzare questo risultato, la “fase due” dell’intesa indica un insieme di misure complementari: la valorizzazione a fini pensionistici della genitorialità e del lavoro di cura; lo sviluppo della previdenza complementare; l’introduzione di una pensione di garanzia, per i redditi più bassi».
Come ritiene che si possa intervenire per bloccare l’innalzamento automatico dell’età pensionabile, tenuto conto che la permanenza di lavoratori anziani non consente l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro?
«L’intesa del 28 settembre prevede l’eliminazione del collegamento dell’età pensionabile all’incremento dell’aspettativa di vita per chi svolge lavori gravosi. Possiamo seguire questa indicazione, muovendoci contemporaneamente sulla sterilizzazione del possibile incremento nel 2019 dei requisiti per il pensionamento anticipato e di vecchiaia, in caso di aumento dell’aspettativa di vita, e sull’evitare che quest’ultima possa incidere sulla pensione, penalizzando così due volte il lavoratore».
Giovani e occupazione: secondo gli ultimi dati Ue, in Italia cresce la povertà e un giovane su 5 non ha lavoro e non lo cerca. Quali possono essere le ricette per contrastare il fenomeno?
«Se guardiamo all’occupazione giovanile, dobbiamo concentrarci su interventi che rafforzino l’occupabilità nel mercato del lavoro, sia rendendo effettiva l’alternanza scuola lavoro, sia riordinando il sistema dei tirocini e dell’apprendistato per incentivare l’ingresso dei giovani e la loro qualificazione professionale. In secondo luogo bisogna contrastare il fenomeno dell’utilizzo improprio delle tipologie contrattuali flessibili, che rischia di lasciare o di gettare nel limbo della precarietà i giovani. Il problema non è la flessibilità, ma il suo protrarsi per un tempo troppo lungo nella vita professionale. Per far crescere il lavoro servono più investimenti e più consumi, ma anche il sistema previdenziale può dare il suo contributo. Crediamo che i contenuti dell’intesa del 28 settembre 2016 rispondano a questo obiettivo: avere più pensionati “over 63”, anziché 65 o 67, è un prezzo che la società può e deve permettersi, per determinare un maggiore turnover di forza lavoro e ridurre la disoccupazione giovanile, in un Paese in cui la povertà relativa aumenta e la crescita è ancora debole».
Intervista di Andrea Iannotta pubblicata su L’Eco di Bergamo del 21 luglio 2017