Salute e Riforma regionale: “Mancano ancora idee chiare”

Siamo preoccupati della lentezza con la quale si sta attuando la riforma sanitaria, e la nostra preoccupazione cresce dopo la vicenda della corruzione che ancora colpisce il pianeta sanità in Lombardia. Ma soprattutto, la nostra attenzione va all’utenza: che fine faranno i servizi e i presidi socio-sanitari nella nuova riorganizzazione geografica?  E la residenzialità per anziani, completamente abbandonata da questa riforma…?

Onesto Recanati, della segreteria del sindacato FNP CISL Bergamo, fa il punto sulla riforma sanitaria di Maroni, a due mesi dall’avvio. “Manca ancora un’idea chiara di integrazione del sociale con il sistema sanitario, sui cui invece la Regione ha riversato la grande maggioranza delle attenzioni”, sottolinea il sindacalista bergamasco, “e iniziano a emergere problemi di compatibilità con la legge nazionale e il Servizio sanitario Nazionale”.

Recanati, in questo caso, fa riferimento alle considerazioni che il Ministero della Salute ha sollevato sulla riforma regionale, che, secondo il dicastero, “introduce definizioni che non appaiono coerenti con quelle previste dalla normativa statale in materia di servizio sanitario nazionale”, mentre “permangono tutt’ora esigenze di unitarietà e uniformità del sistema, necessarie per garantire adeguati livelli di tutela della salute sull’intero territorio nazionale”. In pratica, il Ministero chiede affinché la legge regionale in esame “non incorra in censure di costituzionalità, che sia ammessa solo a condizione che si qualifichi come sperimentale e soggetto a verifica”, e chiede che “l’articolazione in ASST e ATS del servizio sanitario e sociosanitario regionale avvenga in via sperimentale per un periodo di cinque anni”, per una successiva valutazione della “sperimentazione”.

La preoccupazione, poi, sale a leggere i documenti ufficiali: come informa la rivista Lombardia Sociale, infatti, “nelle regole di esercizio 2016, nella declinazione della ripartizione di competenze tra Asst e Ats, il riferimento all’integrazione con i Comuni è indicato – letteralmente – con un punto interrogativo, ad evidenziare che oggi non sono ancora chiari nemmeno i luoghi in cui tale integrazione debba essere definita”.

Si fa poi riferimento a un gruppo di lavoro “interassessorile”  che valuti le possibilità di integrazione con l’area socio-assistenziale, al quale partecipi anche ANCI. “È praticamente tutto rimandato a organismi che ancora non esistono”, si lamenta Recanati.

Ci sono poi i “costi della riforma”, almeno quelli sociali, relativi a stress e incertezza per gli operatori, “che devono operare in un nuovo contesto, e per gli utenti e i segnali che arrivano dal territorio ne danno conferma: chi si interfaccia con il nuovo mondo delle ATS e Asst spesso non trova più i referenti abituali e non conosce ancora quelli nuovi. Lo stesso personale delle vecchie ASL e dei servizi sociosanitari non conosce ancora il proprio destino, dove sarà collocato, con quali mansioni e con che ruolo. Le regole indicavano nel 28 febbraio il termine entro cui i vertici avrebbero dovuto ridefinire l’organizzazione interna di ATS e Asst. L’ultimatum è passato….”.

La riorganizzazione della geografia socio-sanitaria, in considerazione dell’ampliamento dei confini territoriali e dei bacini di popolazione – continua Recanati – , evidenzia la necessità di assicurare presidi di prossimità per i cittadini e le comunità”. La riforma prevede l’istituzione di POT (presidi ospedalieri Territoriali) e PRESST (Presidi socio-sanitari territoriali), ma non ne ha ancora chiarito né dislocazione né funzioni.

Le regole di esercizio hanno infine confermato con molta chiarezza che l’anno in corso sarà un “tempo di transizione” impiegato nel passaggio alla costruzione del nuovo assetto istituzionale ed in particolare alla nuova organizzazione gestionale  cioè a dare forma ai nuovi “contenitori” del welfare sociosanitario. 

In pratica, potrebbe succedere che un servizio venga trasferito altrove più per soddisfare esigenze organizzative di dirigenza e personale che non per andare incontro a necessità dell’utenza. Si tratta, ricordiamolo, di presidi assistenziali del “calibro” di Consultorio familiare, CPS, Ser.T….tutte strutture che hanno un’utenza debole e comunque, non necessariamente dotata di ogni possibilità di trasportarsi in angoli diversi della provincia.

Quanto alle liste d’attesa, secondo una ricerca di Cittadinanzattiva, quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi per motivi economici e liste di attesa. Il 7,2 per cento dei residenti rinuncia alle cure a causa delle liste d’attesa e dei ticket. Il 5,1 per cento, ossia 2,7 milioni di persone, secondo quanto emerge dai dati dell’osservatorio, sceglie di farlo per motivi economici, gli altri invece per i tempi lunghi imposti dalle liste. In una ricerca CENSIS commissionata a Bergamo dalla FNP, risulta che la lunghezza delle liste di attesa è un problema per l’84% degli ultra 65enni.

Come tropo spesso accade, le ristrutturazioni di servizi badano più a risparmi, a soddisfare esigenze e ambizioni manageriali e dirigenziali, e non esitano a oltrepassare con estrema nonchalance i bisogni dell’utenza, spesso non servita da adeguati servizi di trasporto. La FNP CISL chiede che, nella definizione di ambiti e servizi, venga dato un livello di attenzione superiore a quanto accaduto nelle precedenti riforme alle esigenze della popolazione, così da non sottoporla a esodi e trasferte che rischierebbero di compromettere la “tenuta” e l’accoglienza stessa dei servizi”.

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