Bisogna far ripartire il territorio ma l’impressione – dice il segretario generale della Cisl Bergamo, Ferdinando Piccinini, intervistato da L’Eco di Bergamo – è che manchi del tutto una guida del territorio. In effetti, la Provincia è in una fase di rottamazione, la Camera di commercio avviata verso un forte ridimensionamento, quanto alla politica si fa fatica a individuare nei partiti figure di spicco in grado di pilotare le scelte strategiche provinciali, come invece c’erano nella prima Repubblica.
L’INTERVISTA COMPLETA pubblicata su L’Eco di Bergamo l’8 luglio 2014
Bisogna far ripartire il territorio ma l’impressione – dice il segretario provinciale della Cisl Bergamo, Ferdinando Piccinini – è che manchi del tutto una guida del territorio. In effetti, la Provincia è in una fase di rottamazione, la Camera di commercio avviata verso un forte ridimensionamento, quanto alla politica si fa fatica a individuare nei partiti figure di spicco in grado di pilotare le scelte strategiche provinciali, come invece c’erano nella prima Repubblica. «Il quadro economico provinciale – spiega il segretario Cisl Bergamo – è ancora di sofferenza, questa lunga fase di crisi ha portato a un territorio più povero, che offre poche opportunità occupazionali. Bisogna, dunque, far ripartire il territorio con politiche virtuose ma, al di là di qualche balbettio, si fa fatica ad arrivare a scelte strategiche. I partiti e gli enti istituzionali mancano di visione progettuale».
Alcuni importanti enti sono in fase di smantellamento o quasi.
«La Provincia entro settembre aprirà una fase quasi costituente, tuttavia non c’è un confronto vero a livello politico su come ricostruire questo organismo politico. Eppure, i problemi aperti sono notevoli, da Abf, l’Azienda bergamasca formazione, ai Centri per l’impiego».
Che pure lei in passato ha criticato.
«Sì, perché queste strutture hanno grandi potenzialità ma, purtroppo, in questi ultimi dieci anni la politica non le ha mai amministrate con una logica di riforma».
Oltre alla Provincia, anche la Camera di commercio sarà ristrutturata.
«Il taglio del 50% dei diritti camerali è un errore, però questo sfida anche l’ente ad agire con più coraggio verso una politica che si ponga come priorità assoluta lo sviluppo e l’occupazione, evitando il più possibile derive di – chiamiamoli così – bonus associativi, che hanno comportato anche una certa dispersione di risorse. E idem per l’azienda speciale camerale Bergamo Sviluppo mi rammarico del fatto che non si sia arrivati a una sinergia più stretta con il Kilometro Rosso, forse perché considerato una creatura di Bombassei e di Confindustria. Ma queste rivalità oggi non hanno più senso».
Già in passato lei aveva preso di mira Imprese & Territorio.
«Imprese & Territorio è stata un’intuizione importante, ma in questi ultimi tempi fatica ad esprimere un indirizzo strategico sia sul piano politico-economico sia su quello sindacale, pur avendo leve notevoli, come gli enti bilaterali».
Con Confindustria Bergamo le cose vanno meglio?
«Abbiamo definito alcuni accordi sperimentali come quello sul fondo welfare. Ma abbiamo anche grandi realtà industriali che hanno dato segnali importanti come l’accordo in Tenaris che unisce flessibilità a nuovi investimenti e quindi aumenta le potenzialità di occupazione: è il futuro su cui si devono orientare le relazioni sindacali».
Sul fronte lavoro è stato fatto tutto quello che si doveva fare?
«Non del tutto, se penso ai tanti inutili osservatori e rapporti nei quali la Provincia ha buttato soldi e non sono serviti a nulla. Possibile che non si riesca a costruire un modello di rapporti annuali sui fabbisogni occupazionali e professionali delle imprese bergamasche?».
Ma chi dovrebbe farlo?
«Due-tre anni fa sembrava che Provincia e Camera di Commercio avessero definito un progetto in questo senso ma poi si è arenato tutto. Eppure è un bisogno importante perché altrimenti rischiamo di avere aziende che non trovano addetti e ragazzi che non trovano lavoro».
Ci sono comparti che hanno creato nuovi posti di lavoro in questi anni di crisi?
«In anni in cui la manifattura ha perso parecchi addetti e l’edilizia si è di fatto dimezzata, il commercio e i servizi sono riusciti a ritornare ai livelli di pre-crisi: sono settori in prospettiva molto vivaci, ad esempio nelle nicchie dei servizi innovativi per le imprese. Ma l’unico settore che in questi anni ha registrato un saldo positivo di circa 3 mila addetti è stata l’agricoltura. Sembra paradossale in una provincia industriale in cui è sempre stata considerata un comparto residuale. Il distretto delle insalate, per fare un esempio, ha creato occupazione, e così altre nicchie produttive. L’agricoltura è certo un settore da guardare con grande attenzione, senza ovviamente nulla togliere alla manifattura industriale che resta centrale nella nostra provincia».
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